CONTEMPLANDO IL PRESEPE
Ogni anno, in questo periodo, rimango intrappolato dalla divina bellezza del presepe. Mi piace ammirarli, ma, soprattutto, mi piace costruirli: ognuno di essi è uno stimolo alla contemplazione del mistero del Figlio di Dio venuto a condividere la nostra vita di tutti i giorni e la storia di questa nostra umanità.
Questo, per esempio, è il presepe dei bambini della nostra scuola materna. Un presepe semplicissimo, composta da figure di personaggi ritrovate in internet, incollate su cartone e ritagliate; un piccolo triangolo sempre di cartone permette alle stesse di restare in piedi. La sua originalità è data da quel “tocco artistico” che ogni bambino della scuola ha messo nel colorare le figure: i più piccoli (tre anni) hanno dato colore a quelle piccole; gli altri (quattro e cinque anni) hanno dato colore alle più grandi sia di animali che di personaggi; ognuno ha fatto la sua parte. Così ogni personaggio racconta qualcosa di ciascun bambino: era emozionante vedere i piccoli accompagnare genitori, nonni e tate a contemplare il loro “capolavoro”. Nel presepe di Gesù bambino c’è posto per tutti, basta solo voler entrare, essere protagonista di quel presepe.
Questo, invece, è il presepe della nostra cappellina, dove preghiamo nei giorni feriali. Anche questo non ha nulla di particolare ed è ridotto all’essenziale: le statuette dei personaggi sono quelle classiche; non c’è una grossa scenografia, ma solo una sorta di capanna che mette in evidenza il gruppo della natività. Eppure, anche questo presepe è stato pensato per mettere in evidenza alcuni aspetti di quel giorno beato in cui Dio è entrato nella storia. La scena si svolge su tre piani. Da una parte il gruppo dei re magi, in cammino per andare a Betlemme: sono ancora lontani, ma in qualche modo già si stanno preparando all’incontro con la piccola famiglia che ha trovato rifugio in una povera capanna di pastori. Dall’altra parte, anch’essi un po’ rialzati, il gruppo dei personaggi che sono intenti al lavoro: hanno troppo da fare per accorgersi che sta succedendo qualcosa a Betlemme; solo le pecore hanno intuito qualcosa e drizzano il loro musetto verso la grotta, quasi dispiaciute che i loro padroni non si siano accorti di niente. In centro, il gruppo della natività con i pastori e la gente semplice che ha compreso che quel bambino appena nato a Betlemme non è un bambino come gli altri, ma il Figlio di Dio e, pertanto, si sono messi in cammino per portare i loro doni al Bambino Gesù e per festeggiare con la loro presenza la vita che nasce e che sempre si rinnova. Per incontrare il Bambino Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo, bisogna uscire un po’ dalle proprie inveterate abitudini e mettersi in cammino.
Questo è il presepe del gruppo anziani, un presepe molto classico, con un po’ di scenografia con tutti i personaggi della tradizione. La bellezza di questo presepe si trova a monte: lo abbiamo costruito insieme; abbiamo costruito la scena, sistemato il muschio e i personaggi, quelli più piccoli lontano, quelli più grandi vicino alla grotta. Celebrare il Natale significa condividere con gli altri la festa della vita, mettersi insieme, riunire le forze per costruire qualcosa di bello insieme per noi e per gli altri.
E questo è il grande presepe della nostra chiesa. I personaggi sono sempre gli stessi: Gesù, Maria, Giuseppe, l’asino e il bue, il pastore, 3 pecorelle; quelle abbiamo e quelle utilizziamo.
Quando, all’inizio di dicembre, comincio a pensare al presepe, mi chiedo quale messaggio debba trasmettere. L’anno scorso, sistemando dietro il fonte battesimale la natività e sfruttando l’aiuola esterna per il pastore e per le sue pecorelle, ho voluto ricordare che Gesù oggi lo possiamo incontrare uscendo dalle nostre case e andando alla chiesa per lodare e benedire Dio per la sua infinita misericordia insieme alla comunità parrocchiale radunata per la preghiera e per la celebrazione eucaristica.
Il messaggio che ho affidato al presepe di quest’anno vuole essere quello della semplicità.
Siamo all’interno di una grotta e tutti i personaggi sono vicini al protagonista del presepe: il «Verbo fatto carne» (Gv 1,14). È una povera grotta di pastori, perché «non c’era posto per loro nell’alloggio» (Lc 2,7). Forse il pastore, intuendo che quella sarebbe stata una notte diversa dalle altre, ha dato una spazzata alla grotta, ha sparso un po’ di paglia fresca e asciutta, acceso un fuoco per riscaldare un po’ l’ambiente e per cucinare qualcosa da mangiare, e poi ha atteso l’arrivo di quella coppia facendoli accomodare a “casa sua”. Quale grande messaggio dalla semplicità di quella grotta! Non importa se il tuo cuore non è una reggia, se non profuma di rose e viole, ma puzza un po’ dei tuoi peccati, se non è dotata di tutti gli arredi di cui sono fornite normalmente le nostre case: basta che tu apra la porta della tua grotta e il Figlio di Dio viene a vivere lì, nel tuo cuore!
Poi ci sono un uomo e una donna, due giovani sposi. L’iconografia classica li dipinge sempre già in età matura, ma non credo avessero più di 17/20 anni: giovani non solo perché sposi da poco tempo, ma giovani anche di età. E – si sa! – i giovani sono capaci di fare grandi cose se si entusiasmano per quello che devono fare: Maria e Giuseppe si sono entusiasmati del progetto di Dio, lo hanno accolto con semplicità, con tanta umile preghiera e con un pizzico di incoscienza, senza sapere esattamente a cosa andavano incontro accettando di essere il padre e la madre del Figlio di Dio fatto uomo. Invecchiando spesso perdiamo l’entusiasmo della vita: ci sediamo sulle nostre abitudini e tutto ciò che sa di novità ci spaventa e ci preoccupa. Quei due giovani sposi ci ricordano che Dio è una continua sorpresa per gli uomini e che possiamo gustare la sua gioia solo se siamo aperti ad accogliere con entusiasmo questo suo dono.
In quella grotta regna l’essenzialità della vita: non ci sono tutte le nostre comodità, ma c’è l’amore che genera la vita, l’amore che si prende cura degli altri, l’amore che sa condividere. Posso anche non possedere niente o avere solo l’essenziale per vivere: questo mi basta per far sì che il mio essere sia quel capolavoro che Dio pensa e vuole da ciascuno di noi.
Accanto al bambino un asino e un bue, simboli della mitezza: il bue, che tiene la testa bassa e che svolge il suo lavoro faticoso ogni giorno; l’asino, la cavalcatura degli umili, della gente comune, la cavalcatura che Gesù stesso utilizzerà per fare il suo ingresso trionfale a Gerusalemme prima della sua morte. Mi ricordo sempre delle parole di un vecchietto che mi diceva essere solito concludere la sua giornata mettendo nelle mani di Dio le cose che aveva fatto con queste parole: “Signore, il tuo asino si corica!”. Quale grande lezione anche per me, per noi! Vorremo essere sempre più belli, più importanti, più ricchi e più famosi degli altri senza accorgerci che – così facendo – «abbiamo già ricevuto la nostra ricompensa» (cf Mt 6,2) e che diventiamo sempre più chiusi in noi stessi, nelle nostre sicurezze, senza saper più aprire il cuore, le mani e la mente agli altri.
Poi c’è lui, il vero protagonista che è al centro della scena: Gesù bambino, un bambino come tutti gli altri e, nello stesso tempo, il bambino che, nel cuore della notte, fa sentire per la prima volta la voce di Dio attraverso il suo vagito. Dio si fa bambino in quella grotta! Quest’anno c’è un personaggio in più, una piccola pecorella di peluche che riscalda i piedi di Gesù bambino: è una pecorella che avevo trovato in parrocchia, forse dimenticata da qualche ragazzo del catechismo o di quelli che vengono alla Messa domenicale. L’anno scorso, riponendo la statua di Gesù, l’avevo messa accanto a lui perché gli facesse compagnia, poi me ne sono dimenticato e l’ho ritrovata al momento in cui abbiamo tolto dai suoi veli Gesù: è caduta in piedi in mezzo alla culla del bambino e lì ho voluto lasciarla per questo anno. I bambini sanno che si chiama “Bianchina” e che vuole sempre stare vicino a Gesù. Come vorrei essere come quella pecorella, sempre vicino a Gesù e lo posso essere, perché la mia preghiera mi fa accoccolare ai piedi di Gesù per ascoltare il suo respiro e per gustare la dolcezza della sua presenza accanto a me.
Infine, il pastore e le sue pecorelle, in rappresentanza di tutti i pastori che quella notte, dopo aver sentito il coro degli angeli, si sono messi in cammino con i loro greggi e con i loro poveri doni (simboleggiati dalle anfore) per «andare a vedere questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere» (Lc 2,15). Mi piace pensare che quando arrivano alla grotta, i pastori si lascino andare alla danza della vita. Sempre si fa festa quando nasce un bambino e si desidera condividere la festa con gli altri: hanno cantato la vita che nasce, hanno condiviso il pane della fatica e della festa, hanno sperimentato la gioia della fraternità, perché quello che si dona a Gesù si riversa sempre sugli altri, in qualche modo misterioso conosciuto a Dio solo, e contagia a tutti la gioia dell’incontro con lui: «se ne tornarono glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano visto e udito e riferirono ciò che del bambino era stato detto loro» (Lc 2,20.17). Signore Gesù, fammi essere un pastore che, dopo averti incontrato, ti sa annunciare agli altri.
E, da ultimo, questo è il presepe di casa parrocchiale, il più essenziale di tutti: un telo giallo, la luce che discende dall’alto a formare una capanna, per accogliere il bambino Gesù sorridente. Ogni mattina e ogni sera, quando passo davanti a questo presepe do un bacio al bambino e gli rivolgo una preghiera. Egli è l’Emmanuele, il Dio con noi, nello scorrere della vita di tutti i giorni, con tutte le sue gioie e le sue fatiche. Grazie, Signore del tuo amore per noi, grazie perché ci hai amato così tanto e hai così rispetto della nostra vita da averla fatta tua, da averla condivisa prendendo un corpo come il nostro.