Puoi riascoltare le parole dell’Arcivescovo Mons. Nosiglia durante l’omelia della messa del 14 febbraio 2016, a conclusione della visita pastorale alla nostra Unità Pastorale.

 

Quando abbiamo celebrato il Natale, vi ricordate che cosa hanno detto gli Angeli ai pastori? «Vi annuncio una grande gioia: oggi è nato per voi un Salvatore».

Da che cosa si salva Gesù che è venuto in mezzo a noi?

Lo sappiamo bene: è venuto a salvarci dal peccato, dal potere del demonio, dal male, dalle conseguenze del peccato che sono soprattutto la morte, che è entrata nel mondo a causa del peccato. Gesù ci ha salvato da tutto questo. Tuttavia, ha dovuto combattere nella sua vita terrena contro le forze del male, come combattiamo noi: non è stato esentato da tutta questa lotta. Le tentazioni che noi abbiamo nella nostra carne, nel nostro cuore, nel nostro spirito, sono le tentazioni che lui ha provato. Ha voluto passare attraverso questo tunnel delle tentazioni che sembrano così forti e ti impediscono di credere nella forza del bene. Le ha assunte su di sé perché è stato un uomo come noi fino in fondo.

L’apostolo Paolo ci dice che addirittura Gesù «si è fatto peccato per liberarci dal peccato» e questo episodio della prima domenica di quaresima ci pone dinanzi il Signore Gesù che ha voluto prepararsi alla sua missione con la preghiera, il digiuno, la penitenza, l’ascolto della Parola: queste sono le grandi opere quaresimali che siamo chiamati anche noi a fare per poter vincere lo spirito del male. Ed è proprio attraverso queste opere che ha saputo dire di no alla tentazione del demonio.

Che cosa voleva fargli fare il demonio in pratica?

Delle tre tentazioni richiamate nel Vangelo possiamo sintetizzarne una sola, quella fondamentale: voleva allontanarlo dalla sua missione. Il Padre gli gli ha detto che devi essere portatore nel mondo di pace, di riconciliazione, di amore; devi essere povero in mezzo ai poveri, mite, misericordioso: devi essere una persona non che si fa il primo, ma che diventa ultimo, che diventi servo anche di coloro che sono addirittura i tuoi servi; che diventi tu stesso servo; devi essere una persona che dona la vita e che perdona anche chi ti farà del male quando ti metterà in croce.

Questo è un messianismo di sconfitta, non di vittoria.

Ti indico io il messianismo di vittoria – gli dice il diavolo – se vuoi veramente portare nel mondo qualcosa di bello, di positivo, di efficace per te e per tutti”.

Innanzitutto, i beni materiali: sono quelli che ti daranno felicità e che daranno felicità anche agli altri; se in qualche modo li possiedi, li potrai anche mettere a disposizione degli altri. Basta che tu dica a queste pietre di diventare pane. E come dici questo alle pietre, puoi dire tante cose del mondo che diventino beni materiali decisivi per la vita: i soldi, il potere, la seconda grande tentazione) il potere di esprimere in pienezza la tua missione: così potrai conquistare il mondo con il potere economico, finanziario, militare.

E poi la terza tentazione più forte, più difficile, … è quella del successo. Il successo, l’apparire, tipico della nostra società: avere successo, apparire in televisione, sui giornali, essere continuamente punto di riferimento essere applaudito da tutti: con le cose meravigliose che farai sarai applauditi. Quando moltiplica i pani e i pesci la gente lo vuol far re. Ma Gesù non è venuto per essere re: se ne è andato via lasciandoli a bocca asciutta. No, non è venuto per essere re, per avere potere e per portare nel mondo qualcosa che può sembrare così importante per sé e per gli altri. È venuto per dare a tutti noi l’esempio di come si può vincere il male: con il bene, con l’umiltà, con l’amore che si dona a tutti anche in perdita.

Allora comprendiamo che questo Vangelo ci pone di fronte a quello che è il senso vero, ultimo e definitivo della missione di Gesù, che però è anche la missione della Chiesa, perché se Gesù ha voluto la sua Chiesa non ha voluto una Chiesa carica di soldi, una Chiesa ricca, carica di beni, sempre per ragioni pastorali – come si dice – ma che in realtà, di fatto, sono dei bagagli inutili rispetto a quella centralità della povertà.

La ricchezza della Chiesa è il Vangelo, sono i poveri: questa è la ricchezza che la Chiesa deve saper esprimere e testimoniare, e non una Chiesa di potere che in qualche modo condiziona o tratta con il potere. Una Chiesa libera di dire la verità certamente e una Chiesa capace di esprimere il potere mediante il servizio: «Chi vuol essere il primo – dice Gesù – si deve fare servo, deve lavare i piedi ai suoi servi, a tutti». Solo così diventerà il primo.

E poi una Chiesa che non cerca il successo, l’apparire, ma una Chiesa umile, nascosta, come il chicco di grano che si nasconde nel terreno e sembra che sia morto; in realtà ne nasce una spiga.

Quando il Papa è venuto a Firenze al grande convegno della Chiesa italiana ha detto «Voglio, chiedo che la Chiesa italiana, ogni sua parrocchia, ogni sua comunità, rivestita del dono dello Spirito Santo sia una Chiesa che non pone le sue sicurezze nei beni materiali, nell’avere e nel potere, nel successo»: ha richiamato queste tentazioni. Una chiesa che scelga la via di Gesù. San Paolo nella lettera ai Filippesi dice che Gesù che era il figlio di Dio non ha tenuto per sé questa ricchezza; si è fatto ultimo, si è fatto servo, lui che era il più ricco, si è fatto povero; lui che era il più potente si è fatto umile, schiacciato persino dal potere umano, ma non ha risposto al male con il male; ma ha risposto con il bene, con la riconciliazione, con amore. Così deve essere la Chiesa. Voglio una Chiesa sporca – ha detto il Papa -, una Chiesa martoriata, una Chiesa ferita proprio perché non è rimasta chiusa nelle sue sicurezze, nelle sue cittadelle, ma è uscita fuori ed è andata in mezzo alle periferie concrete della gente per vivere la sua missione. Voglio una Chiesa che non una clinica per ricchi, ma un ospedale da campo in mezzo alla battaglia, che vive la situazione difficile di quei due eserciti del mondo, il bene e il male, che sempre si fronteggiano, pronta ad accogliere i feriti di tutte le parti, che dia prova di misericordia, di accoglienza, di disponibilità e lei stessa magari subisce le ferite. Questa è la Chiesa che voglio, ci dice papa Francesco.

Carissimi, è una sfida forte che non interessa solo il clero o tutti coloro che in qualche modo noi diciamo Chiesa: la Chiesa siamo noi, è il popolo di Dio, è ciascuno di noi che deve dare il suo contributo per realizzare questa Chiesa, questa riforma della Chiesa – come la chiama papa Francesco. Tutti noi sentiamoci responsabili: non basta puntare il dito, non basta dire “Eh, la Chiesa dovrebbe fare…”. Chi è la Chiesa? Noi siamo Chiesa, siamo membra di questo corpo del Signore che deve esprimersi secondo questo tipo di speranza, di vita, di testimonianza che offre al mondo. Le tentazioni ci sono: eccome se ci sono, le ha avute Gesù e le abbiamo anche noi come Chiesa e come cristiani singoli. Queste tentazioni sono certamente terribili nel mondo di oggi: ti danno sicurezza, ma l’unica sicurezza che dobbiamo cercare è quella del Vangelo, dell’amore di Dio, da cui possiamo poi trarre anche tutte le altre sicurezze necessarie anche per il nostro vivere quotidiano perché Dio non ti lascia mancare ciò di cui hai bisogno. Ma non tocca a te accumulare pensando che dipenda solo da te.

Al termine di questa Visita Pastorale voglio dirvi che ho visto delle parrocchie vive, della parrocchie che certamente stanno camminando su questa strada. Però, quando dico parrocchia, dico comunità.

Voi anziani: pensate a quale ricchezza di doni avete ricevuto e siete nelle vostre famiglie adesso il riferimento fondamentale. Siatelo anche per la vostra parrocchia: non sentitevi soltanto ai margini perché … la vostra preghiera, la vostra testimonianza, la vostra perseveranza, i vostri consigli, il vostro esempio trascina. Non è vero quello che dite, che i giovani vanno per la loro strada e non stanno più a sentirvi, non è vero: il seme che continuate a gettare, semi di bene, semi di bontà, che sono i semi della tradizione cristiana che voi avete mantenuto viva … dovete sentirvi custodi di questa comunità, custodi di tutto ciò che rappresenta questa comunità in questo quartiere che voi rappresentate e che ancora continuate a rappresentare grazie al vostro impegno, alla vostra presenza, alla vostra testimonianza.

Voi famiglie: la famiglia sta al centro anche dei pensieri di papa Francesco; la famiglia è la cellula fondamentale della Chiesa, della società, Voi famiglie siete chiamate ad essere veramente portatori nella Chiesa quella di rendere la Chiesa, la parrocchia non più una realtà di servizi religiosi, ma una comunità che vive lo spirito e lo stile familiare. Tante volte parliamo della famiglia come oggetto di cura: la famiglia è ferità, sì, certo, dal punto di vista morale, sociale, economico e quindi ha bisogno di accompagnamento, di accoglienza, ha bisogna di una Chiesa che – come dice Francesco – sia una mamma che esprime tenerezza nell’accogliere tutti indipendentemente dalle condizioni di vita che possono avere morale o non morale… La famiglia ha bisogno della Chiesa, ha bisogno di sentire l’afflato materno, accogliente, misericordioso della Chiesa, ma anche la Chiesa ha bisogno delle famiglie. Voi dovete aiutare la vostra comunità a diventare una famiglia: è un’impresa grande, fondamentale. Una comunità dove ci si vuole bene, dove ci si sente uniti gli uni con gli altri, gli uni per gli altri, dove le gioie, le speranze, i dolori nella solidarietà reciproca. Tocca a voi insegnarci che come essere famiglie in quanto Chiesa. Sì, tutta la Chiesa deve mettersi alla scuola della famiglia per imparare ad essere veramente una Chiesa famiglia dove tutti possono essere accolti e dove, se c’è qualche sofferenza, ci si butta tutti insieme con solidarietà. Quante famiglie hanno ragazzi o giovani in difficoltà, non solo dal punto di vista fisico, ma anche spirituale, quante soffrono… e come fanno a superare? Con la perseveranza, con l’accoglienza, con l’amore. Così voi insegnate alla Chiesa questa strada. Dovete sentirvi protagonisti del cammino della vostra comunità cristiana, non solo perché vi da dei servizio (il Battesimo, i sacramenti) ma perché ha bisogno di voi, della vostra partecipazione attiva perché possa imparare veramente a diventare famiglia.

E voi giovani? Io vorrei vedere il futuro di questa comunità come delle comunità di questa Unità Pastorale con i desideri, con i sogni, con gli occhi dei giovani. Non dovete stare nelle retrovie della comunità, stare chiusi nei vostri circuiti giovanili pure belli e importanti: dovete impegnarvi a Far sì che la vostra comunità diventi giovane nella speranza, nello spirito di guardare avanti nel futuro con rinnovato senso di fede, di fiducia, non scoraggiata. Una Chiesa non in retrovia, in difesa, ma una Chiesa in attacco: avete fiato!. Voi siete attaccanti: non potete semplicemente fare i portieri, lasciatelo fare a qualcun altro nella comunità. Dovete essere coloro che indicano la strada, camminare davanti perché siete coloro che hanno più fiato e più speranza, avete gli occhi rivolti verso il futuro. Non scoraggiatevi mai: mettetevi con impegno a rendere la vostra comunità una comunità bella non solo per i vostri coetanei, ma per tutti. Investitevi anche dell’ambito dei poveri, della carità, di certi ambiti che a volte sembrano riservati soltanto agli adulti e agli anziani. No: siate anche voi protagonisti in questo campo. Tutto ciò che è bello, che è giusto, buono, gioioso, vi appartiene come giovani, in quanto giovani. È una vocazione essere giovani, non solo una realtà anagrafica, una consegna che il Signore vi fa perché la vostra Chiesa possa essere veramente una Chiesa giovane che possa esprimere ciò che esprime la giovinezza. Tocca a voi.

Anche voi bambini e i ragazzi: non vi dimentico. Vi ho già incontrati nelle scuole e nel catechismo: vi avete dato nel cuore una gioia grandissima. Siate portatori di gioia, di amicizia: avete delle cose bellissime nel cuore. Non tenetele chiuse soltanto dentro voi stessi, ma portatele nelle vostre famiglie e nella vostra parrocchia. La vostra presenza è una presenza che conduce la comunità a sentirsi madre che genera e che dona la fede, l’amore a tutti voi. Ma voi potete dare alla vostra comunità la vostra gioia grande. Siate portatori di gioia: che i giovani sono portatori speranza, portatori di amore, così voi siete portatori di gioia. Abbiamo tanto bisogno oggi di gioia: stando con voi ci si sente rifiorire nel cuore in mezzo a tanta tristezza e a tanta malinconia che oggi stiamo vivendo. Per questo Gesù ha detto: «Se non ritornerete bambini non entrerete nel regno dei cieli» perché i bambini ci insegnano questo senso di fiducia nella vita, nel futuro. Diciamo sempre che sono solo sempre bisognosi di aiuto: no, anche loro sono capaci di dare.

Vedete allora che se ci mettiamo di fronte a questo vangelo ci accorgiamo che le tentazioni sono tante, ma ciò che ci dice il Signore ha vinto con la Parola di Dio, con il Vangelo, ha vinto con la sua capacità di amare, ha vinto il male durante tutta la sua vita amando veramente tutti e donando veramente a tutti la possibilità di contribuire a diventare protagonisti del suo regno.

Ai malati dico: pregando e offrendo a Dio la vostra sofferenza, voi date un contributo fortissimo a far sì che la vostra comunità possa crescere nell’amore, nella fede e possa diventare segno di speranza nel suo quartiere, più ancora di quando lavoravate anche concretamente nella vostra parrocchia. Adesso non siete passivi: Gesù ci ha salvati quando aveva le mani inchiodate sulla croce, quando non poteva più fare niente umanamente. Eppure è lì il momento in cui ha donato veramente la salvezza al mondo. Vuol dire che nel disegno di Dio anche la vostra vita di sacrificio, di preghiera, di sofferenza è produ